APPUNTI SULLE RISERVE NELL’ESECUZIONE DEI LAVORI PUBBLICI PER I CORSI DI AGGIORNAMENTO (a. 2015)
di Stefano Briotti
- A. Premesse
Nel corso di questo breve incontro tratteremo della questione più spinosa che attiene all’esecuzione dell’appalto in senso stretto, cioè il periodo di tempo che intercorre tra la sottoscrizione del contratto di appalto (o, anche, dalla consegna dei lavori se disposta in via di urgenza, cioè “sotto le riserve di legge”) ed il collaudo.
Si tratta, ovviamente, della questione relativa alle richieste economiche dell’appaltatore rivolte alla stazione appaltante, le cd. “riserve”.
Le riserve sono, appunto, nient’altro che le pretese economiche dell’appaltatore che traggono origine da vicende dell’appalto diverse da quelle previste o prevedibili con riguardo ai documenti contrattuali (in senso lato, cioè anche capitolari, progettuali, economici e tecnici) dell’appalto.
Le riserve, invero, sono talvolta utilizzate dall’appaltatore anche per evidenziare aspetti tecnici controversi, comunque potenzialmente forieri di effetti economici.
Il termine riserva indica in senso stretto l’espediente, autorizzato, grazie al quale l’appaltatore esprime da subito il proprio dissenso in ordine a determinati fatti dell’appalto ma anche l’avvalersi di una sorta di termine franco, di regola quindici giorni, per esplicare le proprie domande. Nella prassi gergale i due termini si sovrappongono.
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Le contestazioni dell’appaltatore che si traducono in riserve trovano una diversa disciplina nell’appalto privato e nell’appalto di opere pubbliche.
Con riguardo al primo dei due ambiti, cioè a quello dei rapporti tra appaltatore e committente privato, l’unico limite generale da non trascurare è quello prescrizionale. E’ pur vero, tuttavia, che una richiesta formulata solo in limine decadenziale, cioè quasi allo scadere del decennio prescrizionale (attenzione: gli interessi trovano il minore limite quinquennale), non incontrerebbe una valutazione favorevole di un eventuale organo giudicante.
Occorre, ad ogni modo, prima di confidare nel lungo lasso di tempo che si presume di avere a disposizione, esaminare attentamente la documentazione contrattuale.
Di frequente, infatti, accede che il contratto o, più spesso, il capitolato dei lavori, disciplini espressamente le modalità di formulazione delle contestazioni da parte dell’appaltatore e, inoltre, quelle della loro risoluzione. Ciò può avvenire anche attraverso il richiamo a normative proprie dei lavori pubblici, nazionali o regionali.
Detto rinvio a una disciplina esterna, sia pubblica o di un soggetto privato (quale ad esempio avviene per i prezzi, alle pubblicazioni della DEI), ha sollevato un annoso dibattito in dottrina, con risvolti giurisprudenziali, che attualmente può dirsi cristallizzato nell’orientamento secondo cui il rinvio operato in un documento contrattuale relativo ad un appalto privato è da considerarsi “fisso”, cioè immune dalle modifiche e integrazioni operate dal soggetto che ha emanato la norma richiamata contrattualmente (salvo che la modifica sia originata dall’adeguamento a norme imperative di ordine pubblico), mentre nell’appalto di opere pubbliche è da considerarsi mobile (anche in questo caso con distinguo in ordine alla stazione appaltante, giacché se non si tratta di amministrazione dello Stato in senso proprio – es. ministeri o enti territoriali – la dottrina e la giurisprudenza restano ondivaghi
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- B. Le riserve nell’appalto di opere pubbliche.
Le principali disposizioni che regolano espressamente l’istituto delle riserve – o la relativa risoluzione – sono (o erano: in corsivo) le seguenti:
Art. 24, 31, 32, 33, 34 D.M. n.145/2000 (Capitolato generale)
artt. 8, 12, 128, 131, 133, 136, 137, 149, 150, 164, 165, 174, 175, 195, 203, 204 D.P.R. n.554/1999 (vecchio Regolamento)
Art. 10, 142, 152, 155, 158, 161, 163, 164, 181, 189, 190, 191, 200, 201, 202, 217, 225, 234, 237 D.Lgs. n.207/2010 (nuovo Regolamento)
Art. 239, 240, 240 bis D.lgs. n.163/2006 e s.m.i. (Codice degli Appalti)
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La finalità della riserva, in linea teorica, è quella di rendere edotta la stazione appaltante di ogni evento che possa determinare una variazione di spesa dell’opera.
Si tratta, a tutta evidenza, di una formale manifestazione di sfiducia del Legislatore nei confronti dei funzionari preposti all’appalto, cioè il Direttore dei Lavori e il Responsabile unico del procedimento. Questi ultimi, infatti, avrebbero, nell’ambito della direzione dell’appalto, di conoscere i più dettagliati fatti che potenzialmente potrebbero produrre effetti economici negativi.
E’, invero, da aggiungere che, come suggerito da autorevoli studiosi, si tratterebbe piuttosto di un sistema decadenziale architettato per non subire la ricaduta negativa di carenze croniche della P.A. nella predisposizione degli atti dell’appalto. La conferma di tale tesi si è avuta con la novella al Codice degli appalti – in vigore dal 14 maggio 2011 - che ha introdotto un limite, di tutta evidenza incostituzionale, all’importo dedotto in riserva, che non può superare la percentuale del 20% dell’importo contrattuale. A ciò si aggiunga l’ulteriore innovazione, sempre nell’articolo menzionato, secondo la quale non possono essere oggetto di riserva gli aspetti progettuali che siano stati oggetto di verifica ai sensi degli artt. 112 del Codice degli Appalti e delle norme regolamentari.
In questo secondo caso è paradossale che la sfiducia del Legislatore sia estesa anche alle garanzie assicurative rese obbligatorie per i progettisti.
Conseguenza diretta della criticata norma è che la stazione appaltante potrebbe corrispondere per ogni articolo di prezzo solo il 70% di quanto previsto contrattualmente!
E’, ancora, da osservare che la norma non distingue tra riserve contabili e risarcitorie, con ciò acuendo la sensazione d’indebita deroga dei principi generali di responsabilità contrattuale.
A tutt’oggi non è stata data una soluzione univoca che consenta di superare i paletti dettati dalle norme sopra menzionate. Si ritiene, tuttavia, che qualora l’importo delle riserve superi il 20% dell’importo contrattuale, sia possibile per l’appaltatore avvalersi della risoluzione del contratto ai sensi dell’art. 1467 cod. civ. (eccessiva onerosità) e 1337 cod. civ. (buonafede contrattuale)
D’altro canto, non ci si può nascondere che molte imprese, specie in epoca anteriore alle vicende cd. di “Tangentopoli”, cioè fino al 1992, abbiano ricercato nell’istituto delle riserve un rimedio al disequilibrio dell’appalto originato da offerte troppo esigue, ovvero a ribassi troppo elevati. E’, comunque, da osservare che anche il mancato rispetto della norma, ora dell’art. 133 del Codice degli Appalti, che prescrive l’obbligo di adeguamento annuale dei prezzari applicati (salva proroga semestrale) abbia influito sul sinallagma (cioè il rapporto tra le prestazioni dei due contraenti) contrattuale.
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C. I fatti che devono o non devono essere oggetto di riserva:
Le principali vicende che devono dare origine a riserva:
- Consegna parziale o ritardata dei lavori.
- Sospensione dei lavori.
- Contabilità dei lavori.
- Esecuzione dei lavori.
- Varianti.
- Tempistica dell’appalto. Anomalo andamento dei lavori. Penali.
- Collaudo.
Altre vicende per le quali non sussiste l’obbligo d’iscrizione delle riserve:
- Fatti estranei all’oggetto dell’appalto.
- Comportamenti dolosi o gravemente colposi della committente.
- Contabilità irregolare o informe.
- Interessi per ritardato pagamento (art.142, co. 4°, Nuovo Regolamento).
- Revisione prezzi (ora non più vigente).
- Contenzioso in riserva dopo che è stata dichiarata la risoluzione del contratto
- Costituzione in mora della stazione appaltante (pur tuttavia per alcuni autori, una volta fatta ne ha la valenza, es. Mazzone).
Vicende per le quali è dubbio l’obbligo:
- Fatti continuativi.
- Partite di lavoro non ancora contabilizzate.
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D. La sede delle riserve.
Ai sensi dell’art. 191, co. 2°, del Nuovo Regolamento, Le riserve sono iscritte a pena di decadenza sul primo atto idoneo a riceverle, successivo all’insorgenza o alla cessazione del fatto che ha determinato il pregiudizio dell’esecutore. In ogni caso, sempre a pena di decadenza, le riserve sono iscritte anche nel registro di contabilità all’atto della firma immediatamente successiva al verificarsi o al cessare del fatto pregiudizievole. Le riserve non espressamente confermate sul conto finale si intendono abbandonate.
Il primo, indefettibile, obbligo è quindi l’iscrizione delle riserve sul registro di contabilità.
Può, peraltro, accadere che si sottoscriva il registro con riserva senza esplicarla nei termini. Oppure che, rifiutandosi l’appaltatore di sottoscrivere il registro, non adempia l’obbligo neppure nei quindici giorni successivi assegnatigli. Oppure, ancora, che lo stesso firmi senza riserva.
In questo caso l’appaltatore è decaduto dalla facoltà di coltivare le proprie richieste economiche, rendendosi intangibili le risultanze contabili del registro (art. 190 Nuovo Regolamento “i fatti registrati si intendono definitivamente accertati, e l’esecutore decade dal diritto di far valere in qualunque termine e modo le riserve o le domande che ad essi si riferiscono”. In realtà, per fatti registrati è da intendersi ogni fatto, anche non registrato, che possa determinare un aumento di spesa (è da precisare che alcuni autori non condividono questa tesi, es. Capaccioli).
La norma in esame, però, si riferisce anche alla preventiva iscrizione della riserva in un non meglio identificato atto idoneo a riceverle.
Questa indeterminatezza ha suscitato non pochi dibattiti dottrinali e giurisprudenziali.
Domande:
- Cosa accade se, nonostante ne sia espressamente richiesta l’esibizione da parte dell’appaltatore, il registro non sia disponibile?
Ebbene, sono considerati atti equipollenti sia un atto giudiziario, sia una formale comunicazione (anche per a.r. o PEC) però indirizzata al legale rappresentante della stazione appaltante e non al DL (a mio parere neppure al RUP).
- E se la contabilità è “provvisoria”?
Sul punto si rileva la contraddittorietà tra una norma, l’art. 180 del Codice Appalti, che non contempla tale eventualità e un’altra, l’art. 190 del Nuovo Regolamento, che la prevede, seppure in forma residuale.
La soluzione non è univoca e lascia supporre che le riserve per la quantificazione siano proponibili nella contabilità definitiva mentre quelle relative al “titolo” richiedano un’immediata riserva.
- Se la riserva riguarda fatti accaduti successivamente alla data di chiusura della contabilità ma prima della sottoscrizione?
La dottrina più autorevole ritiene non dovuta la riserva. Tesi da me non condivisa, in quanto se la ratio della riserva è informativa, un fatto già conosciuto, specie se non riguarda direttamente la contabilizzazione dei lavori ma vicende diverse, qualora sia foriero di effetti economici, deve essere comunicato alla stazione appaltante attraverso una riserva.
- Se una riserva cd. continuativa è tardiva rispetto al periodo di tempo compreso in un s.a.l., ad esempio il primo, può essere valida per i successivi?
La risposta è affermativa. La giurisprudenza afferma che la riserva sarà considerata apposta per la prima volta in occasione del s.a.l. per la quale risulterà tempestiva.
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I documenti da sottoscrivere con riserva, oltre il registro di contabilità:
- Il verbale di consegna dei lavori.
- I libretti delle misure.
- Le liste settimanali.
- Il conto finale e il certificato di ultimazione dei lavori.
- Il certificato di collaudo.
- L’atto di sottomissione.
- L’O.D.S.
- Il verbale di sospensione e ripresa dei lavori.
E’ da precisare che detto elenco è frutto di un’elaborazione dottrinale e, anzi, proprio la dottrina ha stigmatizzato che effetti decadenziali così gravi derivino dal mancato compimento di un obbligo su atti neppure precisamente elencati (Mazzone e Loria).
Si noti bene: tutte le riserve apposte sui documenti anzidetti devono essere riproposte sul registro di contabilità alla prima occasione utile successiva.
In effetti, i documenti di cui ai numeri 2, 3 e 6 non costituiscono sede per vere e proprie riserve. Per i primi due (libretti delle misure e liste settimanali) si stratta di riserve in senso lato, ovvero di contestazioni inerenti il contenuto del documento stesso, insomma sulle misure dei lavori eseguiti e non fatti estranei. E’, anzi, da precisare che la dottrina maggioritaria e la giurisprudenza non li considerano neppure sede di riserve; tuttavia, una volta scritte le contestazioni devono essere riportate sul registro di contabilità per restare in vita.
Per il n.6, inerente l’atto di sottomissione, la dottrina e la giurisprudenza hanno sempre negato si potesse iscrivere riserva in calce ad un atto di sottomissione in quanto è principio generale di contabilità dello Stato che un contratto, più precisamente un impegno nei confronti della P.A., potesse essere fina dall’inizio condizionato da pretese economiche ulteriori, magari neppure precisamente quantificabili per la misura effettivamente dovuta. Soltanto con il Nuovo Regolamento del 2010 è stata prevista la facoltà per l’appaltatore di sottoscrivere l’atto con motivato dissenso; si tratta, cioè, non di una sede generale di riserva (discutibile, anzi, che lo sia in senso stretto) ma di espressione di contestazioni, anche in questo caso, relativi al contenuto dell’atto stesso, ovvero della perizia ad esso collegata. Sarà, quindi, opportuno esprimere dissenso circa aspetti tecnici, contabili e sulla tempistica assegnata per il compimento dei lavori ulteriori in perizia.
Sarà, nonostante quanto detto, anche opportuno riportare la contestazione sul registro di contabilità.
Quanto all’ordine di servizio l’art. 128 del previgente Regolamento escludeva espressamente che potessero essere sede di riserva. La dottrina, basandosi su un’interpretazione letterale del testo normativo, ritiene che l’art. 159 del Nuovo Regolamento non sposti i termini (si discute sul termine “facoltà”). A mio parere la novella normativa ha inserito anche gli ODS nel novero delle sedi “parziali” di riserve: quindi ODS potenzialmente con effetti economici negati dovranno essere contestati e la contestazione riprodotta sul registro di contabilità.
Infine, il procedimento di contestazione di aspetti tecnici di cui all’art. 164 del Nuovo Regolamento non costituisce, a mio parere, condizione per esprimere riserva sul registro di contabilità.
Circa il verbale di sospensione e ripresa dei lavori:
è evidente che mentre sul verbale di sospensione dei lavori occorrerà contestare le motivazioni del fermo ordinato, sarà impossibile quantificarne gli effetti negativi in termini economici, se non sul verbale di ripresa. Occorrerà, comunque, indicare almeno i maggiori oneri ipotizzati in €/g.
Particolare attenzione si dovrebbe porre alla riserva sul verbale di ripresa, in quanto secondo certa giurisprudenza, per ora isolata, dovrà essere esplicata direttamente la domanda, sia ovviamente sul verbale ma anche sul registro di contabilità.
Si suppone, infatti, che l’appaltatore (poiché non ipotizzabile – ma in realtà, aggiungerei, possibile) alla firma del verbale di ripresa contestualmente alla sottoscrizione del verbale di ripresa, può senza patemi procedere alla quantificazione del danno e, quindi, a maggior ragione, sul registro di contabilità.
Questa tesi, ovviamente, pone qualche problema, nel senso che dovrebbe essere subito iscritta una riserva (quella anzidetta) sul registro mentre le altre usufruirebbero del “termine di grazia”.
Anche nel caso di questi atti, l’idoneità è relativa solo al contenuto degli atti stessi. In buona sostanza non sono sede, ad esempio, per riserve contabili.
In merito al conto finale: In esso devono essere riprodotte tutte le riserve già inscritte sul registro di contabilità (ovviamente quelle relative a pretese restate insoddisfatte o rinunziate) a pena di decadenza, ovvero richiamate come ammette la giurisprudenza (tuttavia propendo per la riproduzione integrale). E’, tuttavia, possibile iscriverne altre, quelle relative a vicende intercorse tra l’ultimo s.a.l. (o, se contabili, la data di chiusura dell’ultimo s.a.l.) e il conto finale.
E’ da osservare che la giurisprudenza considera la sottoscrizione del conto finale solo come accettazione, una presunzione relativa, ammettendo la prova contraria, ad esempio attraverso la previa azione giudiziaria per fare valere la pretesa.
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E. Questioni pratiche
Dal lato squisitamente pratico spesso mi viene posta la domanda: “se sui documenti non v’è spazio per le consuete chilometriche domande, è possibile aggiungere fogli dattiloscritti o manoscritti?”
Sembrerebbe un quesito da poco. Invece ha impegnato a lungo la dottrina, mentre in giurisprudenza la questione è rimasta (eccetto isolate pronunzie) giustamente marginale.
In effetti, alcuni autori contestano che sia possibile aggiungere fogli ai “cosiddetti atti idonei”. A mio parere, la tesi è condivisibile solo per il registro di contabilità che, per sua natura di registro al quale se ne possono aggiungere altri, via via che il precedente si completi, e che è munito di fogli numerati e, di regola, siglati. Basta quindi incollare in modo stabile i fogli dattiloscritti su quelli già presenti nel registro allorquando per ragioni di tempo si voglia evitare di ricopiare le riserve manualmente. Ovviamente senza cancellature, ovvero solo con la modalità ammessa che lascia intellegibile la parte cancellata con sigle e controfirme a margine, interlineando gli spazi, ecc.
Per gli altri documenti la questione non sussiste. Basta aggiungere fogli all’atto con le modalità appena indicate e, in questo caso, numerati autonomamente.
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Un altro quesito è spesso posto dagli operatori “in campo”: le domande devono essere riproposte pedissequamente alla sottoscrizione di ogni s.a.l.?
La risposta è negativa. Basta che siano confermate nel conto finale.
La domanda insorge poiché nella prassi è uso scrivere una frase di rito che consenta di ritenere espressamente richiamate tutte le riserve già formulate. La prassi è talmente radicata che è capitato di leggere controdeduzioni del D.L. nelle quali si eccepiva la decadenza delle riserve!
Ancora: “E’ possibile modificare le riserve nel corso del tempo, ovvero in occasione di ciascun s.a.l. successivo a quello in calce al quale è stata inscritta la riserva?
La risposta, nella fattispecie, non può essere netta. E’ possibile aggiornare le riserve quando esse vertono su situazione che si modificano nel tempo, nel senso di un incremento o di una persistenza o, ancora di un riverificarsi (in quest’ultimo caso si consiglia una riserva ex novo). Si pensi all’anomalo andamento dei lavori o all’esecuzione prolungata di una categoria di lavoro che determini un sovrapprezzo.
E’ possibile, ancora, aggiungere e precisare le ragioni che sottendono alla richiesta per meglio motivarla (magari motivazioni conoscibili in un tempo successivo) purché non determino, o meglio siano utilizzate per, un incremento della somma chiesta.
Ciò non è possibile qualora si vogliano aggiungere titoli di danno per lo stesso evento: ad esempio, nel caso di una riserva per sospensione dei lavori, aggiungere il costo delle spese fisse di cantiere quando inizialmente omesse.
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F. I contenuti delle riserve.
L’art. 191 del Nuovo Regolamento prescrive che le riserve devono essere formulate in modo specifico ed indicarne con precisione le ragioni sulle quali esse si fondano. In particolare, le riserve devono contenere a pena di inammissibilità la precisa quantificazione delle somme che l’esecutore ritiene gli siano dovute.
Da quanto prescritto emerge con sicurezza che debbano essere evidenziate le cause che danno origine alle richieste (titoli) e gli importi richiesti. Insomma l’an e il quantum.
Alcuni autori e la giurisprudenza ritengono che non sia necessario specificare i criteri di quantificazione delle somme. Non condivido l’orientamento. A mio parere è comunque necessario indicarli, senza tuttavia arrivare a specificare i passaggi logico matematici.
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G. Fatti continuativi ed istantanei.
Il requisito principe della riserva è la tempestività.
Al riguardo il Nuovo regolamento, con l’art. 191, ha compiuto un’innovazione sostanziale, rimasta a lungo inosservata da parte di molti studiosi ma anche di legali e operatori pratici: E’ stata introdotta una particella disgiuntiva nella locuzione successivo all’insorgenza O alla cessazione del fatto che ha determinato il pregiudizio per l’appaltatore.
Facciamo un passo indietro e leggiamo la norma in esame, segnatamente l’art. 191 citato, comma 2°: Le riserve sono iscritte a pena di decadenza sul primo atto dell’appalto idoneo a riceverle, successivo all’insorgenza o alla cessazione del fatto che ha determinato il pregiudizio dell’esecutore. In ogni caso, sempre a pena di decadenza, le riserve sono iscritte anche nel registro di contabilità all’atto della firma immediatamente successiva al verificarsi o al cesare del fatto pregiudizievole (…).
Pertanto, dopo un’annosa diatriba dottrinale e dopo una giurisprudenza ondivaga, il cui orientamento prevalente si era infine collocato a favore della tesi avversa all’esistenza di fatti continuativi, il Legislatore ci ha sorpresi aderendo alla tesi divenuta minoritaria e superata.
Si tratta ad ogni modo di riserve di carattere generale, quale è per esempio l’andamento anomalo, per le quali l’appaltatore non può avere immediata percezione della gravità dei fatti che le potrebbero motivare.
Parte della dottrina e buona parte della giurisprudenza, tuttavia, concordano nel ritenere che le fattispecie più frequenti impongano comunque una riserva cautelativa, rinviandosi alla cessazione dei fatti lesivi la stima del danno.
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H. Le decadenze.
Il combinato disposto degli artt. 32 e 33 del D.M. n.145/2000 (da ora in poi, per praticità, C.G.) e dell’art. 149 del D.P.R. n.554/1999 (in seguito, semplicemente, REG.) hanno introdotto una serie di termini per proporre un’azione giurisdizionale innanzi gli Organi giudiziari civili ordinari e onorari (arbitri).
Il primo caposaldo è dato dall’art. 33, co. 1°, C.G., secondo cui l’appaltatore deve proporre la propria azione giudiziaria entro il termine decadenziale di 60 giorni, nel caso ritenga di non accogliere le determinazioni della stazione appaltante in ordine alla proposta di accordo bonario formulata dal RUP, dalla comunicazione delle anzidette determinazioni (art. 149, co, 3°, REG.).
Il secondo caposaldo è dato, sempre ai sensi del menzionato art. 33, co. 1°, C.G., dalla determinazione della stazione appaltante sulle riserve non oggetto di accordo bonario ovvero dalla pronunzia se anticipata rispetto al termine ordinatorio assegnato alla stessa stazione appaltante, cui segue sempre un termine decadenziale bimestrale. E’ da precisare che, secondo alcuni, il termine decadenziale decorrerebbe anche dalla inutile decorrenza del termine di 90 giorni decorrente dalla trasmissione degli atti di collaudo ex art. 204 REG., che andrebbero sommati ai sessanta giorni assegnati a pena di decadenza all’appaltatore. Osta a tale interpretazione che la trasmissione degli atti di collaudo è un passaggio endoprocedimentale interno alla stazione appaltante, mentre solo le determinazioni di cui all’ultimo comma dell’anzidetto articolo sono comunicate all’appaltatore. Per cui è palese che solo a queste può riferirsi il termine decadenziale.
Il terzo caposaldo proviene dal decorso del tempo, di 90 giorni, successivo all’istanza dell’appaltatore per ottenere la determinazione delle riserve, qualora la stessa non sia stata pronunziata entro il termine di tre mesi dalla scadenza per l’emissione del certificato di collaudo; la decorrenza bimestrale, nel caso di pronunzia della stazione appaltante prima del 90° giorno, decorre dalla stessa.
La questione attuale è se questo complesso di norme è ancora vigente.
Ebbene, già in epoca precedente alla codificazione delle norme sugli appalti attraverso il D.lgs. n.163/2006, la dottrina ha rilevato che la modifica radicale all’originario art. 31 bis della L. n.109/1994 aveva snaturato il sistema decadenziale: “il nuovo art. 31 bis della legge n. 109 altera sostanzialmente l’intero assetto della materia attribuendo, in buona sostanza, all’accordo bonario la natura di mezzo di risoluzione di tutte le riserve, indipendentemente dal loro valore, anche se con diversa cadenza temporale. Prevedere l’accordo bonario anche per la risoluzione delle riserve successive al ricevimento, da parte del responsabile del procedimento, del certificato di collaudo o di regolare esecuzione significa, in buona sostanza, vanificare la disciplina non soltanto degli artt. 33 e 32 del capitolato, ma dell’intero sistema cd.
Sono, infatti, da considerarsi superate le ipotesi di cui al 1° co. dell’art. 33 capit. in quanto il novellato art. 31 bis disciplina un sistema completamente diverso. Come anche è da considerarsi superata l’ipotesi di cui al 1° co. dell’art. 32, richiamata dall’art. 33, del capitolato in quanto disciplinata in maniera totalmente diversa dall’art. 31 bis della Legge” (L. Graziuso, Il contenzioso nei lavori pubblici, Milano, 2005, p. 240).
In altri termini, è lecito dubitare della compatibilità dell’art. 33 del D.M. n. 145/2000 con la disciplina dell’accordo bonario dettata ad opera della cd. Merloni quater (L. n. 166/2002).
Al pari, risulta incompatibile con il sistema decadenziale in commento, anche la nuova disciplina dell’accordo bonario introdotta dall’art. 240 del D.lgs. n.163/2006 (in avanti CODICE APPALTI). La nuova disciplina si presenta, infatti, che la mera comunicazione del RUP di cui all’art. 240 citato non si collima con la determinazione della stazione appaltante di cui alla criticata norma del coordinato disposto.
Taglia, per così dire, la testa al toro l’abrogazione dell’art. 32 del C.G. e dell’art. 149 del REG. da parte del CODICE APPALTI (D.lgs. n. 113/2007), art. 256, che ha reso del tutto monco il sistema decadenziale.
Ricordiamo, tra l’altro, che detto sistema, poiché costituisce una limitazione di responsabilità di uno dei contraenti in un rapporto sinallagmatico di natura, nell’aspetto che qui interessa, privatistica, non può essere soggetto ad interpretazione analogica.
Corona di fiori al funerale del sistema decadenziale è venuta dall’abrogazione dell’art. 33 del C.G. da parte del’art. 358 del D.P.R. n.207/2010 NUOVO REGOLAMENTO, entrato in vigore in data 8 marzo 2011 (salve alcune norme anticipate), il quale, oltretutto, ha abrogato in toto il REGOLAMENTO.
Si può, in questo caso, ipotizzare una svista del Legislatore, giacché l’art. 33 da solo, salvo il comma 3°, è un contenitore vuoto, poiché inapplicabile senza i riferimenti costituiti dai due articoli abrogati.
Ne consegue che dall’entrata in vigore del CODICE APPALTI non si può considerare vigente il vecchio e censurato sistema decadenziale.
Infine, è da rilevare che il C.G., in attesa del Capitolato Generale previsto dall’art. 5, co. 8°, ha valore solo se richiamato nella Lex Specialis dell’appalto.
Avv. Stefano Briotti